PREMESSA IMPORTANTE: abbiamo chiesto a ChatGPT (PLUS) di elaborare per noi una review della letteratura a proposito dell’EMDR; in particolare abbiamo voluto scoprire cosa la letteratura dice sui punti di forza e di debolezza di questo strumento così acclamato dalla comunità psicoterapeutica mondiale.
La nostra posizione di partenza è di scetticismo: negli ultimi anni l’EMDR sembra essere divenuto lo strumento principe in psicoterapia, usato per qualunque cosa, su qualunque disturbo. Già questo rende sospetto il razionale di intervento e il principio di funzionamento dello strumento in sé: perché uno strumento usato per rimuovere la componente emotiva di un evento traumatico singolo dovrebbe funzionare per la depressione? La depressione presenta dunque aspetti traumatici? O il trauma condivide con la depressione nuclei psicopatogeni? Il tutto sembra stridere e raccontarci di un processo di elevatura pretestuosa inerente uno strumento senza dubbio utile, ma forse “gonfiato”.
In più, con tutto il lavoro delle associazioni di settore che abbiamo osservato negli ultimi anni, il sospetto diviene ancora più forte, portandoci ad alcune domande su quanto non ci si trovi di fronte a un fenomeno -per lo più- di mercato.
Alcune questioni sulla stimolazione bilaterale hanno ulteriormente acuito gli interrogativi: nei corsi di formazione scopriamo che “passare più velocemente le dita di fronte agli occhi di un individuo permette un’installazione più rapida del luogo sicuro”, ovvero aiuterebbe ad aumentare il senso di sicurezza, oppure addirittura passarli diagonalmente davanti al volto del paziente porterebbe ad altri vantaggi.
Il tutto sembra veramente “magico”: al confronto con quella degli psicologi, la popolazione degli psichiatri (più formata al pensiero critico-scientifico) sembra aver meno accettato le narrazioni sul funzionamento dell’EMDR -forse non a caso.
In ogni caso, qui di seguito il mastodontico lavoro fatto dalla “macchina” per noi, con tra parentesi le fonti cliccabili.
Abbiamo supervisionato e controllato i papers proposti dall’AI, che ha generato una review che ci avrebbe chiesto settimane di lavoro.
Di recente è stato pubblicato un documento da parte dell’APA (American Psychological Association), le linee guida ufficiali per il trattamento del PTSD degli USA, che declassa l’EMDR a “seconda scelta” per il PTSD. Lo si trova qui.
Citiamo anche questo scritto sui correlati morfologici e funzionali dell’EMDR, per chi volesse, a cura di Silvia Bussone.
Buona lettura!
PS: per chi se lo chiedesse: sì, noi c’eravamo, in presenza, sulle poltroncine delle aule in cui il corso di formazione sull’EMDR si svolgeva: abbiamo quindi prima “toccato con mano”, e poi approfondito :)
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Introduzione
L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è una forma di psicoterapia sviluppata da Francine Shapiro nel 1989 per trattare il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e altri disturbi legati a eventi traumatici. Si basa su un protocollo in otto fasi in cui il paziente rievoca ricordi traumatici mentre compie movimenti oculari ritmici o altre forme di stimolazione bilaterale (ad es. movimenti delle dita, tapping alternato) sotto la guida del terapeuta (frontiersin.orgfrontiersin.org). L’ipotesi teorica originaria (modello dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione, AIP) suggerisce che il trauma resti “bloccato” in reti mnestiche maladattive e che la stimolazione bilaterale aiuti a “sbloccare” e rielaborare questi ricordi, integrandoli con informazioni adattive (ptsd.va.govptsd.va.gov). Sin dalla sua introduzione, l’EMDR ha suscitato ampio dibattito scientifico: inizialmente accolto con scetticismo, è poi diventato uno dei trattamenti più studiati per il PTSD. Di seguito analizziamo la solidità scientifica e statistica dell’EMDR, includendo i principali punti di forza emersi dalla letteratura, i limiti metodologici e critiche sull’efficacia, l’evidenza di efficacia nel PTSD e in altri disturbi (ansia, depressione, ecc.), e le controversie riguardanti il meccanismo d’azione (ruolo dei movimenti oculari, effetto placebo, ecc.).
Punti di Forza Scientifici dell’EMDR
Numerose ricerche sperimentali supportano l’efficacia clinica dell’EMDR, in particolare nel trattamento del PTSD. Ad oggi sono stati condotti decine di studi controllati randomizzati (oltre 35 RCT solo sul PTSD secondo alcuni report) in diversi paesi e popolazioni (ptsd.va.gov). I risultati convergono nel mostrare che l’EMDR riduce significativamente i sintomi post-traumatici rispetto a condizioni di controllo inattive (lista d’attesa o placebo psicologico) (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Ad esempio, una meta-analisi su 26 trial clinici controllati ha riscontrato che il trattamento EMDR, rispetto ai controlli, produce effetti moderati in riduzione dei sintomi PTSD (Hedges g ≈ 0,66) e concomitanti riduzioni dei sintomi depressivi e ansiosi (g ≈ 0,64) nei pazienti traumatizzati (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Un altro lavoro meta-analitico conferma che l’EMDR riduce la sintomatologia post-traumatica, ansiosa e depressiva associata al PTSD in misura significativa rispetto al non trattamento. In alcuni casi clinici (soprattutto tra i traumi singoli non complessi), l’EMDR può portare a miglioramenti rapidi: due RCT hanno osservato che dopo appena tre sedute da 90 minuti di EMDR l’84–90% dei pazienti con un singolo trauma non soddisfaceva più i criteri del PTSD (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Questo dato suggerisce un’efficacia elevata e una rapidità d’azione in contesti specifici. Di conseguenza, l’EMDR è stato inserito nelle linee guida internazionali come trattamento di prima linea o raccomandato per il PTSD: ad esempio, è raccomandato dalla International Society for Traumatic Stress Studies (ISTSS), dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) nel Regno Unito e dalle linee guida del Dipartimento della Difesa/Veterani negli USA (ptsd.va.gov). L’American Psychological Association (APA) nelle sue linee guida sul PTSD lo classifica come trattamento “fortemente o probabilmente efficace” (sebbene con raccomandazione condizionale) (ptsd.va.gov). In sintesi, i punti di forza evidenziati dalla letteratura comprendono:
Efficacia comprovata nel PTSD: La maggioranza degli studi sperimentali e delle meta-analisi concorda che l’EMDR produce una marcata riduzione dei sintomi PTSD (intrusività, evitamento, iperattivazione) rispetto a nessun trattamento (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Gli effetti terapeutici si mantengono nel follow-up in molti studi (tipicamente valutati a 3-6 mesi post-trattamento). Inoltre, comparazioni dirette con altre terapie attive indicano che l’EMDR ottiene risultati paragonabili ad approcci consolidati. Una meta-analisi (Seidler & Wagner, 2006) di 7 studi, ad esempio, ha rilevato che l’EMDR non è inferiore alla terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma (TFCBT) in termini di efficacia nel PTSD (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Ciò implica che l’EMDR raggiunge benefici clinici simili alle migliori terapie disponibili per il trauma.
Validità clinica riconosciuta: Oltre alle linee guida citate, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e varie associazioni professionali hanno riconosciuto l’EMDR come trattamento basato sull’evidenza per il PTSD. È ampiamente utilizzato in clinica da terapeuti formati, anche in contesti come servizi per veterani, centri anti-violenza, interventi su catastrofi, ecc. Il fatto che più enti indipendenti abbiano valutato positivamente l’evidenza sull’EMDR conferisce solidità scientifica al metodo.
Miglioramento anche di sintomi co-occorrenti: Diversi studi notano che il miglioramento dei sintomi post-traumatici con EMDR spesso si accompagna a riduzioni di altri sintomi psicologici (es. ansia generalizzata, depressione, somatizzazioni). Una meta-analisi ha documentato cali significativi, oltre che nel PTSD, anche nei punteggi di depressione e ansia dopo EMDR(pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Questo suggerisce un effetto terapeutico trasversale sul benessere emotivo del paziente traumatizzato, aumentandone la validità clinica globale.
Possibile maggiore efficienza terapeutica: Alcune evidenze indicano che l’EMDR potrebbe ottenere risultati equivalenti ad altre terapie in un minor numero di sedute. In un confronto, ad esempio, l’EMDR ha prodotto gli stessi benefici della terapia espositiva tradizionale ma in circa 6 sedute contro 10(researchgate.net). Anche se questi dati vanno interpretati con cautela, la prospettiva di una terapia efficace in tempi più brevi è un punto di forza potenziale, soprattutto per pazienti che faticano a tollerare trattamenti prolungati su traumi. Inoltre, a differenza di alcuni protocolli di esposizione, l’EMDR richiede poco lavoro a casa (homework) da parte del paziente, risultando più “user-friendly” per alcuni.
In sintesi, l’EMDR è sostenuto da un corpo consistente di ricerca che ne attesta la validità ed efficacia clinica, almeno per il trattamento del PTSD. Le sue prestazioni risultano comparabili ad approcci evidence-based affermati (come le terapie cognitive ed esposizioni prolungate) (pmc.ncbi.nlm.nih.gov), consolidandone il ruolo come strumento terapeutico di provata efficacia.
Limiti metodologici e critiche dell’approccio EMDR
Nonostante i successi empirici, la letteratura ha evidenziato anche vari limiti metodologici e statistici riguardo all’EMDR, e il dibattito critico rimane aperto su alcuni fronti.
Di seguito i principali punti critici:
Qualità degli studi e bias: Alcuni autori hanno sottolineato che soprattutto le ricerche iniziali negli anni ‘90 soffrivano di campioni piccoli, gruppi di controllo inadeguati o altri difetti metodologici (ptsd.va.gov). Ciò portò a risultati contrastanti sulla rapidità ed efficacia dell’EMDR nelle prime fasi di studio(ptsd.va.gov). Sebbene la qualità della ricerca sia molto migliorata negli ultimi anni (con trial più rigorosi), resta una certa eterogeneità. Una meta-analisi del 2023 che ha applicato criteri di inclusione molto restrittivi (solo studi RCT di alta qualità) ha rilevato che le dimensioni d’effetto medie dell’EMDR risultavano più piccole di quanto riportato altrove, sia nella riduzione dei sintomi PTSD sia di ansia e depressione, e che nessun dato di metaregressione confermava un effetto robusto (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Gli autori concludono che molti studi esistenti “mancano di sufficiente qualità metodologica per essere generalizzati alla pratica clinica” (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). In altri termini, persiste un rischio di bias (ad es. aspettative dell’operatore, non cecità dei valutatori, publishing bias) che potrebbe aver sopravvalutato l’efficacia in alcuni studi. Questo richiede cautela nell’interpretare alcuni risultati troppo positivi e indica bisogno di ulteriori ricerche rigorose.
Confronti con altre terapie: Una critica ricorrente è che l’EMDR non risulta più efficace di altre forme di psicoterapia traumi-focused, il che solleva dubbi sulla sua “unicità”. Ad esempio, già nel 2001 una meta-analisi influente (Davidson & Parker) concluse che l’EMDR “non appare più efficace di altre tecniche espositive” nel trattamento di disturbi d’ansia o trauma(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). In particolare, in quel lavoro non emergevano differenze significative tra EMDR e esposizione tradizionale (desensibilizzazione sistematica, terapia espositivo-immaginativa, ecc.), suggerendo che l’elemento attivo principale potrebbe essere comune a entrambi (ossia l’esposizione ai ricordi traumatici in un contesto sicuro)(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Coerentemente, come citato, studi più recenti hanno confermato che EMDR e CBT-trauma hanno efficacia sovrapponibile(pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Questa equivalenza non è un “difetto” in sé (dimostra anzi che l’EMDR funziona tanto quanto trattamenti consolidati), ma i critici osservano che ciò mette in questione la necessità dei suoi elementi peculiari: se fare EMDR o fare un’altra terapia dà esiti simili, l’EMDR non rappresenterebbe un progresso clinico superiore ma solo alternativo. Alcuni detrattori spingono questo argomento oltre, sostenendo che l’EMDR sia essenzialmente una riformulazione di tecniche già note (esposizione + rilassamento) arricchita da un rituale di movimenti oculari che le conferisce un’aura innovativa senza aggiungere vera efficacia. Questa posizione critica fu particolarmente forte negli anni ‘90, quando l’EMDR fu persino bollato da alcuni come “pseudoscienza” perché la rapida popolarità superò le evidenze iniziali(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Oggi, con evidenze più solide, pochi mettono in dubbio che l’EMDR sia efficace; piuttosto il dibattito è se sia speciale o necessario rispetto ad altri approcci.
Il ruolo controverso dei movimenti oculari: L’aspetto più dibattuto è se i movimenti oculari (o altre stimolazioni bilaterali) siano effettivamente un componente essenziale del trattamento o un elemento accessorio. Shapiro e i terapeuti EMDR sostengono che la bilateralità attentiva sia cruciale per facilitare l’elaborazione del trauma; tuttavia, dati contrastanti sono emersi dai cosiddetti studi di smantellamento (dismantling studies), che confrontano l’EMDR completo con versioni senza movimenti oculari. Diversi esperimenti clinici hanno suggerito che la rievocazione del trauma da sola (senza movimenti oculari) produce benefici terapeutici comparabili all’EMDR standard. La meta-analisi di Davidson & Parker (2001) non trovò alcun incremento di efficacia aggiunto dai movimenti oculari, concludendo che “le evidenze suggeriscono che i movimenti oculari… sono non necessari”(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Questi risultati, replicati in alcuni studi, alimentarono l’ipotesi che l’elemento curativo fosse l’esposizione/riconsolidamento del ricordo traumatico, mentre il movimento o stimolo bilaterale fungeva da placebo o espediente per focalizzare l’attenzione del paziente. In risposta a queste critiche, altri ricercatori hanno prodotto evidenze a favore della componente oculare: una successiva meta-analisi (Lee & Cuijpers, 2013) su 15 trial ha invece trovato un effetto moderato e significativo dovuto specificamente ai movimenti oculari nell’EMDR (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Ciò significa che nei gruppi EMDR completo i pazienti mostravano riduzioni dei sintomi maggiori che nelle condizioni di controllo identiche ma senza movimenti oculari, suggerendo che questi ultimi qualcosa apportino. La controversia però non è del tutto risolta, perché alcuni di questi studi pro-oculomotori includevano misure soggettive o compiti di laboratorio più che esiti clinici a lungo termine (ptsd.va.gov). Ad esempio, la meta-analisi di Lee & Cuijpers (2013) includeva studi in cui si misurava il disagio soggettivo durante il ricordo, anche in popolazioni non-PTSD(ptsd.va.gov). In sintesi, la letteratura non è unanime: permane un dibattito sul fatto che i movimenti oculari siano indispensabili o se l’EMDR funzionerebbe ugualmente come terapia di esposizione/imaginativa anche senza di essi.
Critiche teoriche e di coerenza del modello: Sul piano teorico, l’EMDR è stato accusato di non poggiare (almeno inizialmente) su un modello scientifico pienamente validato. Il modello AIP di Shapiro – che ipotizza un sistema innato di elaborazione delle informazioni che può “incepparsi” dopo un trauma e che viene riattivato dalla stimolazione bilaterale – è affascinante ma considerato difficile da verificare empiricamente. Alcuni elementi (come l’idea di “memorie non elaborate” stoccate in forma stato-dipendente) non sono facilmente osservabili né unici all’EMDR. Critici hanno definito il modello teorico vago o non necessario, sostenendo che l’efficacia dell’EMDR possa essere spiegata con principi già noti (desensibilizzazione tramite esposizione graduale, attivazione di ricordi e ristrutturazione cognitiva, effetto placebo delle procedure ritualizzate, ecc.). In uno studio critico del 2002, ad esempio, si concludeva che la confusione attorno all’EMDR deriva in parte dalla “mancanza di un modello validato in grado di spiegare in modo convincente gli effetti del metodo EMDR” (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). D’altro canto, i sostenitori notano che sono stati proposti numerosi modelli integrativi (psicologici, neurobiologici) per spiegare l’EMDR (frontiersin.org). La teoria del riflesso di orientamento suggerisce che la stimolazione bilaterale provoca una sequenza di orientamento e successivo rilassamento neurofisiologico che favorisce la desensibilizzazione emotiva (frontiersin.org). La teoria della memoria di lavoro (working memory), attualmente molto accreditata, postula che impegnare la memoria di lavoro con un compito (p.es. seguire con gli occhi uno stimolo in movimento) mentre si richiama un ricordo doloroso ne riduce la vividezza e l’intensità emotiva, poiché la memoria ha risorse limitate (emdria.org). Questo concetto è supportato da esperimenti di laboratorio: per esempio, Gunter & Bodner (2008) hanno mostrato che i movimenti oculari riducono in modo significativo la vividezza e il disagio associato a ricordi spiacevoli solo se il ricordo viene mantenuto a mente durante la stimolazione (dimostrando l’importanza del carico di memoria di lavoro), e che anche altri compiti distraenti producono effetti simili proporzionali alla quantità in cui tassano la memoria di lavoro(emdria.orgemdria.org). Questi risultati supportano il modello della memoria di lavoro e contraddicono l’idea che l’effetto sia solo un riflesso di rilassamento o un particolare effetto neurofisiologico dei movimenti oculari (emdria.orgemdria.org). Sono state avanzate anche analogie neurobiologiche tra EMDR e le fasi di sonno REM (in cui i movimenti oculari rapidi accompagnano l’elaborazione mnestica nel cervello), ma le evidenze in merito sono preliminari. In breve, a livello di coerenza teorica, l’EMDR soffre dell’assenza di un consenso sul meccanismo esatto: funziona, ma non c’è pieno accordo sul perché. Questo però non è raro in psicoterapia (molti trattamenti efficaci precedono la piena spiegazione neuroscientifica del loro funzionamento). La diatriba ha tuttavia alimentato negli anni ‘90 accuse reciproche tra ricercatori: alcuni revisioni critiche sostengono che i detrattori dell’EMDR abbiano in passato riportato selettivamente i dati per minimizzarne l’evidenza, mentre dall’altro lato i fautori abbiano talvolta promosso l’EMDR con enfasi eccessiva prima di una completa conferma scientifica (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Fortunatamente, l’attuale dibattito è più focalizzato su aspetti tecnici (componenti attive, meccanismi) che non sull’efficacia di fondo, ormai assodata.
Problemi di replicabilità e generalizzazione: Nel contesto della replication crisis scientifica, è lecito chiedersi se gli effetti dell’EMDR siano replicabili da diversi team e in diversi setting. A questo proposito, i risultati principali – l’efficacia nel ridurre sintomi PTSD – sono stati replicati in numerosi studi indipendenti nel mondo (USA, Europa, Asia, ecc.), confermando che non si tratta di un effetto peculiare di un singolo gruppo di ricerca. Tuttavia, alcune sfumature non sono sempre coerenti: ad esempio, l’entità esatta del beneficio varia tra studi (alcuni trovano effetti molto grandi, altri mediocri); inoltre l’EMDR sembra funzionare meglio in alcune condizioni (traumi singoli) rispetto ad altre (traumi multipli complessi, di cui diremo oltre). Vi è poi la questione delle popolazioni cliniche differenti: la maggior parte degli studi è su adulti con PTSD da traumi singoli; meno ricerche sono disponibili su bambini, adolescenti, pazienti con traumi multipli o comorbilità gravi, e i risultati in questi sottogruppi sono meno definiti. Ciò significa che l’evidenza più solida è circoscritta a determinati contesti, e l’estensione a “tutto per tutti” richiede prudenza. Ad esempio, quando sono presenti comorbilità importanti (psicosi, dipendenza da sostanze, disturbi dissociativi severi), il protocollo standard EMDR potrebbe necessitare adattamenti e i risultati non sono sempre positivi. Alcuni studi pilota suggeriscono che l’EMDR si può applicare in sicurezza anche in pazienti con sintomi psicotici o bipolarità (trattando i traumi correlati), ma i dati sistematici scarseggiano (ptsd.va.gov).
Altri limiti pratici: L’EMDR richiede che il paziente tolleri la rievocazione dei ricordi traumatici durante le sedute; sebbene siano previste tecniche di stabilizzazione (fase di preparazione) per mitigare l’angoscia, non tutti i pazienti riescono a seguire il protocollo (p.es. persone con gravissima instabilità emotiva potrebbero dissociarsi o scompensare durante la rievocazione). Dunque, come per l’esposizione, c’è una percentuale di drop-out o di persone per cui la tecnica non è indicata in prima battuta. Sul piano statistico, inoltre, molti studi EMDR si concentrano sull’esito a breve termine; c’è bisogno di follow-up più lunghi per confermare che i benefici persistano negli anni e per confrontare eventuali tassi di ricaduta rispetto ad altre terapie. Infine, l’EMDR è un trattamento che richiede formazione specifica e supervisione; se non applicato correttamente (bassa fedeltà al protocollo), i risultati possono essere inferiori – un fattore che complica l’eterogeneità degli studi (alcuni fallimenti potrebbero dipendere dall’inesperienza dei terapeuti più che dal metodo in sé).
In conclusione, le critiche all’EMDR sottolineano che, pur avendo una solida efficacia di base, restano questioni aperte riguardo ai suoi componenti specifici, al meccanismo d’azione e all’ambito ottimale di applicazione. Dal punto di vista scientifico, questo è normale nel processo di validazione di un trattamento relativamente giovane. L’importante è riconoscere tali limiti e affrontarli con ulteriori ricerche rigorose, più che considerare l’EMDR come una panacea infallibile. La consistenza delle prove a favore dell’EMDR per il PTSD è comunque robusta, il che mitiga in parte le critiche più estreme (ad esempio, oggi quasi nessuno sostiene più seriamente che l’EMDR sia “solo placebo”). Le discussioni attuali mirano piuttosto a ottimizzare la tecnica (es. capire quando è più indicata, se altre forme di stimolazione funzionano meglio dei movimenti oculari, come integrarla con altri interventi, ecc.) e a estenderne o delimitarne con esattezza il campo di validità clinica.
Efficacia documentata dell’EMDR in vari disturbi psicologici
L’EMDR è nato per il trattamento del PTSD, ma è stato successivamente applicato (in via sperimentale o clinica) a una varietà di altri disturbi psicologici. In questa sezione esaminiamo l’efficacia documentata dell’EMDR in: PTSD, disturbi d’ansia (fobie, panico, disturbo d’ansia generalizzato), depressione e altri disturbi (somatoformi, dissociativi, ecc.), evidenziando i contesti in cui funziona meglio in base alla letteratura disponibile.
EMDR nel Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD)
Il PTSD è il terreno d’elezione dell’EMDR e quello su cui si concentra la maggior parte delle ricerche. Le evidenze possono essere sintetizzate come segue:
Efficacia elevata su sintomi PTSD: Come già riportato, meta-analisi e RCT indicano che l’EMDR produce significative riduzioni dei sintomi nucleari del PTSD (flashback, incubi, ipervigilanza, evitamento) rispetto a controlli inattivi(pmc.ncbi.nlm.nih.gov). L’entità dell’effetto varia da moderata a grande a seconda dei confronti. Ad esempio, confrontato con lista d’attesa o supporto standard, l’EMDR tende ad avere ampi effetti (molti pazienti passano da PTSD positivo a sub-soglia). Alcuni studi riportano percentuali di risposta clinica notevoli: ad esempio, in uno studio classico su traumatizzati civili, dopo 3 mesi di EMDR il 90% non soddisfaceva più i criteri PTSD (vs 12% del gruppo di controllo in lista) (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Percentuali di remissione simili sono state replicate in soggetti con traumi singoli. Naturalmente, in traumi multipli o complessi la percentuale di remissione completa è più bassa, ma comunque l’improvement sintomatologico medio è significativo.
Confronti con altre terapie trauma-focused: Gli studi comparativi indicano che l’EMDR è altrettanto efficace di altre terapie riconosciute per il PTSD. In particolare, nessuna differenza significativa è emersa rispetto alla Prolonged Exposure (PE) o alla Cognitive Processing Therapy (CPT) – due forme di terapia cognitivo-comportamentale tra le più accreditate per PTSD(pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Ad esempio, un ampio trial controllato su pazienti con PTSD cronico non ha trovato differenze cliniche tra 8 sedute di EMDR e 8 sedute di esposizione prolungata: entrambi i gruppi hanno ridotto i sintomi in modo comparabile e mantenuto i miglioramenti al follow-up. Analogamente, la meta-analisi di Seidler & Wagner (pmc.ncbi.nlm.nih.gov) citata sopra confermò la parità di efficacia EMDR vs TFCBT. Questi dati implicano che l’EMDR funziona almeno quanto i migliori trattamenti disponibili. Va notato che l’alleanza terapeutica e il confronto empatico di contenuti traumatici sono elementi comuni a tutte queste terapie, e possono contribuire in larga parte al miglioramento.
Rapidità di azione: Come accennato nei punti di forza, alcuni studi suggeriscono che l’EMDR possa ridurre i sintomi PTSD in meno sedute rispetto ad altre terapie. Per esempio, un vecchio studio di Rothbaum e colleghi ha osservato miglioramenti marcati dopo sole 3 sedute di EMDR in vittime di trauma singolo acuto, un risultato difficilmente ottenibile in 3 settimane di terapia standard (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Questo ha portato a sperimentare protocolli EMDR intensivi (ad es. 5 giorni consecutivi di sedute multiple): i risultati preliminari indicano una riduzione accelerata dei sintomi, mantenendo la sicurezza per il paziente (sciencedirect.com). Tuttavia, al di fuori dei traumi semplici, spesso servono più sedute: mediamente nei manuali si parla di ~8–12 sedute per traumi complessi. In ogni caso, la possibilità che in certi contesti l’EMDR risolva un PTSD in poche settimane rappresenta un aspetto clinicamente rilevante (meno sofferenza prolungata per il paziente, minor costo in termini di tempo/risorse).
Efficacia in diverse popolazioni e tipi di trauma: L’EMDR è stato applicato con successo nel PTSD derivante da svariate tipologie di eventi: traumi di guerra e combattimento, aggressioni sessuali, incidenti stradali, disastri naturali, eventi traumatici di infanzia, traumi cumulativi da abuso, ecc. La maggior efficacia si osserva di solito in caso di trauma singolo e recente (pazienti senza lunga storia traumatica precedente). Nei traumi multipli o complessi (es. vittime di abusi prolungati nell’infanzia) l’EMDR può comunque aiutare, ma spesso va integrato in un percorso terapeutico più lungo, includendo fasi preparatorie di stabilizzazione emotiva. Studi su veterani e militari – popolazione spesso con traumi multipli – mostrano che l’EMDR è efficace anche in questi casi, ma l’outcome è variabile e può servire più tempoptsd.va.gov. In bambini e adolescenti con PTSD, revisioni (es. meta di Moreno-Alcazar 2017) indicano che l’EMDR è efficace quanto la TFCBT adattata all’età nel ridurre i sintomi, se somministrato da terapeuti formati in setting adeguati. Questo ha portato a usare EMDR anche con minori vittime di violenza o calamità, con risultati positivi sebbene la ricerca in età evolutiva sia meno ampia rispetto agli adulti.
Miglioramento di sintomi associati: Oltre ai sintomi cardinali del PTSD, il trattamento EMDR spesso migliora anche aspetti come ansia generalizzata, depressione secondaria, senso di colpa, vergogna e disagio psicologico generale. Una meta-analisi ha quantificato questo effetto “collaterale” benefico: nei pazienti con PTSD trattati con EMDR si osserva una riduzione media dei sintomi depressivi di circa g = 0,64 e dei sintomi d’ansia di g = 0,64 rispetto al baseline o controlli (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). In altri termini, il paziente non solo supera il trauma, ma spesso riporta un miglioramento dell’umore e della qualità di vita complessiva. Ciò rende l’EMDR particolarmente utile quando il PTSD si accompagna a depressione, come spesso accade.
Contesti in cui l’EMDR funziona meglio nel PTSD: La letteratura suggerisce che l’EMDR dà i suoi risultati migliori quando: (a) il paziente presenta un trauma singolo ben definito (es. incidente, aggressione) piuttosto che traumi complessi cumulativi; (b) il PTSD non è cronicissimo da decenni (anche se vi sono studi su PTSD cronici con successo, una latenza minore dal trauma facilita il lavoro); (c) il paziente non ha gravi disturbi dissociativi o abuso di sostanze attivi che interferiscono (queste condizioni non precludono l’EMDR, ma richiedono attenzione e spesso un trattamento integrato); (d) il terapeuta può seguire il protocollo standard completo in un setting sicuro e con paziente stabilizzato. In situazioni di emergenza e post-crisi, l’EMDR è stato sperimentato in forma brevi interventi (EMDR Early Intervention) per prevenire lo sviluppo di PTSD acuto: ad esempio, protocolli abbreviati di 1-3 sedute subito dopo un trauma collettivo (terremoto, attacco terroristico) hanno mostrato riduzione dei sintomi intrusivi e dell’ansia acuta nei sopravvissuti (sciencedirect.comonlinelibrary.wiley.com), suggerendo un ruolo anche nella prevenzione secondaria. In definitiva, per il PTSD l’EMDR rappresenta un trattamento altamente efficace, raccomandato e supportato da forti evidenze sperimentali, specialmente indicato per traumi singoli ma applicabile con opportuni adattamenti anche a traumi complessi.
EMDR nei disturbi d’ansia e correlati
Dopo il PTSD (che fino al DSM-IV era classificato tra i disturbi d’ansia), l’EMDR è stato applicato a varie condizioni d’ansia non direttamente post-traumatiche, quali fobie specifiche, disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato (GAD), disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e perfino disturbi da stress non traumatico (es. ansia da prestazione). Trattandosi di ambiti meno tradizionali per l’EMDR, gli studi sono in numero minore, ma i risultati iniziali sono promettenti in alcuni casi:
Efficacia nelle fobie e attacchi di panico: L’EMDR è stato testato in fobie specifiche (per es. fobia del volo, fobia dentistica) e nel disturbo di panico con/senza agorafobia. L’idea è che, anche in assenza di un trauma singolo evidente, spesso queste paure debilitanti originano da esperienze stressanti o sensazioni somatiche terrorizzanti memorizzate (es. un attacco di panico iniziale molto intenso, o un episodio di soffocamento). L’EMDR viene adattato per elaborare tali “ricordi di paura” alla base dell’ansia. Una meta-analisi del 2020 (Yunitri et al.) ha esaminato 17 RCT sull’uso dell’EMDR in vari disturbi d’ansia (inclusi panico, fobie e ansia generalizzata). I risultati indicano che l’EMDR è efficace nel ridurre i sintomi d’ansia in senso ampio: rispetto ai controlli, si sono ottenuti miglioramenti con dimensioni d’effetto moderate o grandi su diverse misure (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Nello specifico, l’EMDR ha portato a una riduzione significativa dei sintomi d’ansia generale (g ≈ 0,71), dei sintomi di panico (g ≈ 0,62) e delle fobie (g ≈ 0,45) rispetto alle condizioni di controllo, oltre a ridurre sintomi somatici correlati all’ansia (es. tensioni corporee, reazioni comportamentali di evitamento) (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Questi effetti erano più marcati negli studi che confrontavano l’EMDR a controlli passivi (lista d’attesa o trattamento usuale) e un po’ meno (ma comunque presenti) rispetto a controlli attivi (es. psicoterapia di supporto)(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Tali dati suggeriscono che, in media, l’EMDR può alleviare significativamente disturbi d’ansia anche non dovuti a trauma.
Vantaggi potenziali rispetto ad altre terapie: Nel trattamento di fobie, la terapia di elezione è l’esposizione graduale. L’EMDR potrebbe offrire un percorso alternativo per pazienti che non tollerano l’esposizione diretta. Ad esempio, in caso di fobia del volo, alcuni case report mostrano che poche sedute di EMDR focalizzate sul ricordo peggiore di volo o sulle immagini anticipatorie catastrofiche possono ridurre la paura al punto da permettere al paziente di volare (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Un vantaggio qualitativo riportato è che l’EMDR, includendo elementi di rilassamento e ristrutturazione cognitiva, può essere percepito come meno stressante durante la seduta rispetto a dover affrontare subito lo stimolo fobico “dal vivo”. Nel disturbo di panico, l’EMDR è stato confrontato con la terapia cognitivo-comportamentale ottenendo risultati simili in alcuni piccoli trial. Una particolarità osservata in uno studio è che l’EMDR avrebbe ridotto più rapidamente l’ansia anticipatoria e alcuni trigger somatici del panico rispetto alla CBT standard, forse perché va a desensibilizzare direttamente le memorie degli attacchi di panico iniziali e le sensazioni corporee ad essi associate (frontiersin.org).
Limiti e considerazioni: Non tutti gli studi su EMDR e ansia sono positivi. In particolare, nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) i risultati sono stati contrastanti. Uno studio controllato (Marsden et al., 2018) che aggiungeva EMDR a una terapia standard per DOC non ha trovato benefici significativi aggiuntivi (frontiersin.org). Forse perché nel DOC i “traumi” che alimentano le ossessioni sono meno evidenti o perché il meccanismo ossessivo richiede interventi specifici (esposizione con prevenzione della risposta). Anche nelle dipendenze (disturbo da uso di sostanze) l’EMDR è stato provato, specie per traumi che spesso coesistono nei pazienti con dipendenza: uno studio (Markus et al., 2020) su alcolismo non ha riscontrato benefici aggiuntivi dall’EMDR affiancato al trattamento tradizionale, anzi il gruppo senza EMDR ebbe esiti leggermente migliori (frontiersin.org). Ciò evidenzia che l’EMDR non è una panacea per qualsiasi disturbo d’ansia o correlato – funziona meglio quando c’è un ricordo o esperienza chiave su cui lavorare. Negli stati d’ansia puri senza un nucleo memorizzato specifico (es. ansia generalizzata dovuta a preoccupazioni diffuse), l’EMDR può comunque essere adattato (focalizzando le “peggiori esperienze” di preoccupazione, o ricordi di origine di uno schema di ansia), ma le evidenze sono ancora scarse.
In sintesi, l’EMDR nei disturbi d’ansia ha mostrato risultati incoraggianti soprattutto in fobie e panico, con effetti paragonabili alle terapie standard in alcuni studi (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Funziona meglio quando l’ansia è collegata a specifici ricordi traumatici o paurosi (ad es. il primo attacco di panico, l’esperienza spaventosa scatenante la fobia) su cui si può intervenire con la desensibilizzazione. In assenza di ciò, il suo ruolo è meno chiaro. In ogni caso, date le basi empiriche limitate finora, sono necessarie ulteriori ricerche per esplorare l’uso dell’EMDR in disturbi d’ansia diversi dal PTSD, specialmente con follow-up a lungo termine (pubmed.ncbi.nlm.nih.gov).
EMDR nella depressione
Tradizionalmente, la depressione maggiore viene trattata con terapia farmacologica e/o psicoterapia (es. cognitivo-comportamentale, interpersonale). L’EMDR non è un trattamento di prima linea “standard” per la depressione in assenza di trauma: tuttavia, negli ultimi anni è aumentato l’interesse per il suo utilizzo in casi di depressione che ha radici in eventi avversi o traumi psicologici. Molte persone con depressione, infatti, riportano nella loro storia esperienze negative (perdite, abusi, fallimenti) che possono essere trattate come “target” con EMDR. Cosa dice la letteratura sulla depressione?
Efficacia nel ridurre i sintomi depressivi: Una recente meta-analisi del 2024 (Seok & Kim) ha esaminato 25 RCT in cui l’EMDR era impiegato per trattare la depressione (maggiore o distimia), confrontato con cure usuali o liste d’attesa(pmc.ncbi.nlm.nih.govpmc.ncbi.nlm.nih.gov). I risultati hanno mostrato che l’EMDR ha un effetto significativo sulla riduzione dei sintomi depressivi, con una dimensione d’effetto complessiva medio-grande, indicativo di un netto miglioramento rispetto ai controlli (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Interessante, l’analisi ha rilevato che l’EMDR tende ad essere più efficace nei casi di depressione grave rispetto a quelli con depressione moderata (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che nelle depressioni più severe spesso vi sono traumi o schemi negativi profondi su cui l’EMDR può agire, mentre nelle forme più lievi-intermedie i sintomi sono più legati a stressori attuali o squilibri neurochimici. La meta-analisi conclude che l’EMDR “è efficace nel trattare la depressione, specialmente nei casi gravi” e ne sottolinea il potenziale come intervento non farmacologico aggiuntivo (pmc.ncbi.nlm.nih.gov).
Confronti con altre terapie per depressione: Alcuni studi hanno direttamente confrontato EMDR e terapia cognitivo-comportamentale (CBT) nel trattamento della depressione maggiore. I risultati, per quel che si sa finora, suggeriscono esiti simili. Ad esempio, uno studio citato da Seok et al. riporta che l’EMDR ha ridotto i sintomi depressivi nella stessa misura della CBT sia alla fine del trattamento sia a 6 mesi di follow-up (mdpi.com). Un altro studio (Hofmann et al., 2014) su depressione resistente ha confrontato EMDR con una terapia CBT focalizzata sul trauma: entrambe le terapie hanno ridotto i sintomi depressivi significativamente, ma nell’EMDR i pazienti hanno raggiunto la remissione clinica leggermente più presto durante il trattamento (frontiersin.orgpmc.ncbi.nlm.nih.gov). Tali confronti diretti sono ancora pochi, ma finora indicano che l’EMDR non è inferiore alle terapie standard per depressione, potendo anzi offrire qualche vantaggio in termini di rapidità per alcuni pazienti. È importante notare che nei protocolli EMDR per depressione spesso si identificano eventi scatenanti (p. es. un lutto, una delusione, un evento di abbandono) e si lavora su quelli come ricordi target. In aggiunta, si elaborano le credenze negative nucleari del paziente depresso (es. “non valgo nulla”, “è colpa mia”) legate a esperienze di vita. Questa integrazione di elementi tipici della CBT (ristrutturazione di convinzioni) con il protocollo desensibilizzante EMDR potrebbe spiegare perché risulta comparabile alla CBT classica.
Applicazioni particolari: L’EMDR è stato sperimentato anche come trattamento aggiuntivo in casi di depressione resistente ai farmaci. Uno studio italiano (Ostacoli et al., 2018) su pazienti con depressione maggiore farmacoresistente ha testato l’aggiunta di EMDR alla terapia di supporto: i pazienti che ricevevano EMDR mostravano percentuali più alte di remissione dei sintomi depressivi rispetto ai controlli (terapia di supporto da sola), e soprattutto molti di loro raggiungevano la remissione già a metà trattamento mentre negli altri avveniva più tardi (frontiersin.org). Ciò suggerisce che l’EMDR può accelerare la risposta anche in forme di depressione difficili, magari perché affronta aspetti emotivi irrisolti che alimentano la depressione. Alcuni case report segnalano remissioni sorprendenti di depressioni croniche dopo alcune decine di sedute di EMDR, specie quando emergono e si elaborano traumi infantili sottostanti. Ovviamente, questi sono casi individuali e non sostituiscono evidenze sistematiche, ma indicano possibili linee di intervento.
Limiti nell’ambito depressivo: Nonostante le evidenze promettenti, va detto che l’EMDR non è universalmente efficace per tutte le depressioni. Nei pazienti con depressione maggiore senza alcun elemento traumatico o di ricordo doloroso specifico, il razionale per usare EMDR è meno chiaro. Si può comunque applicare la tecnica focalizzandosi sui ricordi “peggiori” dell’episodio depressivo (ad es. il giorno in cui la persona ha toccato il fondo emotivo) per ridurne la carica, oppure su memorie di origine di sentimenti di autosvalutazione. Tuttavia, non tutti i pazienti depressi rispondono: alcuni studi inclusi nella meta di Seok et al. hanno trovato effetti nulli, e globalmente la eterogeneità (moderate heterogeneity) dei risultati suggerisce che fattori moderatori (gravità, presenza di traumi, ecc.) influenzano molto l’esito(pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Inoltre, quasi tutti gli studi sulla depressione con EMDR hanno focalizzato l’outcome nel breve-medio termine (fino a 6 mesi). Non sappiamo se l’EMDR riduca i tassi di ricaduta depressiva a lungo termine meglio, peggio o uguale alle terapie tradizionali – quest’area richiede ulteriori ricerche di follow-up prolungati. Infine, quando la depressione è accompagnata da ideazione suicidaria acuta o altre urgenze, l’EMDR da solo potrebbe non essere appropriato come primo intervento (bisogna prima mettere in sicurezza il paziente, stabilizzare i sintomi acuti, e poi eventualmente procedere all’EMDR per i fattori scatenanti).
In conclusione, l’efficacia dell’EMDR nella depressione è supportata da crescenti evidenze: sembra funzionare soprattutto nei casi in cui vi siano eventi avversi specifici alla base dello stato depressivo, e può essere utile come integrazione in depressioni resistenti. Le meta-analisi indicano riduzioni significative dei sintomi depressivi con EMDR rispetto ai controlli (pmc.ncbi.nlm.nih.gov) e performance almeno pari alla terapia cognitiva (mdpi.com). Ciò apre prospettive interessanti per utilizzare EMDR in un contesto più ampio che il solo PTSD, pur con la consapevolezza che la depressione è multifattoriale e spesso richiede approcci combinati (psicoterapia + farmacoterapia).
EMDR in altri disturbi psicologici
Oltre a trauma, ansia e depressione, l’EMDR è stato sperimentato (con vari gradi di evidenza) in molti altri ambiti, talvolta lontani dalla sua applicazione originaria. Una revisione sistematica del 2021 ha catalogato ben 90 studi sull’uso dell’EMDR in condizioni diverse dal PTSD (frontiersin.org). Ecco alcuni campi esplorati:
Disturbi somatoformi e dolore cronico: Diverse ricerche hanno provato l’EMDR per ridurre dolori di origine psicosomatica o somatizzazioni. Ad esempio, nel dolore cronico (come fibromialgia, cefalea tensiva, dolore lombare cronico) alcuni piccoli trial indicano miglioramenti sia del dolore che del disagio emotivo dopo un ciclo di EMDR focalizzato sui “ricordi di dolore” o sulle emozioni legate alla condizione (frontiersin.org). Nel disturbo da sintomi somatici e in alcune condizioni psicosomatiche (es. colon irritabile) l’EMDR è stato usato per elaborare eventi di vita stressanti che precedono l’esacerbarsi dei sintomi, con esiti positivi riportati in studi caso-controllo. Tuttavia, molte di queste evidenze sono preliminari e basate su campioni ridotti; servono trial più ampi e controllati per confermare se l’EMDR può diventare un intervento riconosciuto nel dolore cronico.
Disturbi da uso di sostanze (addiction): È comune che persone con dipendenze presentino traumi non risolti; l’EMDR è stato integrato in alcuni programmi di riabilitazione per affrontare tali traumi. Come accennato, i risultati non sono univoci: se da un lato ci sono casi clinici di successo (pazienti tossicodipendenti che riescono a mantenere l’astinenza dopo aver elaborato traumi con EMDR), dall’altro studi controllati come Markus et al. 2020 non hanno trovato differenze aggiungendo EMDR al trattamento usuale per alcolismo(frontiersin.org). L’ipotesi è che l’EMDR possa aiutare in sottogruppi di pazienti (quelli con chiara componente post-traumatica che guida l’uso di sostanze), mentre sia inutile in altri.
Disturbi dell’alimentazione: Anche in anoressia, bulimia e binge eating sono stati tentati approcci EMDR, partendo dal presupposto che spesso vi sono traumi di fondo (ad es. abuso sessuale nell’infanzia, bullismo sull’aspetto fisico) che contribuiscono allo sviluppo del disturbo alimentare. Alcuni case series riportano miglioramenti su vergogna, disgusto corporeo e perfino sui sintomi alimentari dopo aver trattato i traumi con EMDR. Tuttavia, non esistono ancora RCT solidi che dimostrino un effetto dell’EMDR sui parametri centrali dei disturbi alimentari (peso, condotte compensatorie, etc.), quindi al momento va considerato solo un intervento complementare sperimentale.
Disturbi di personalità: L’EMDR è stato utilizzato nel trattamento di aspetti di alcuni disturbi di personalità, in particolare il disturbo borderline, dove spesso sono presenti traumi multipli nell’anamnesi. Inserito in un contesto terapeutico più ampio (ad es. in combinazione con la terapia dialettico-comportamentale), l’EMDR può aiutare a ridurre la reattività emotiva legata a ricordi di abbandono o abuso che alimentano la disregolazione affettiva borderline. Alcuni studi pilota hanno visto diminuzione di sintomi dissociativi e impulsività in pazienti borderline trattati con EMDR sulle memorie traumatiche. Naturalmente, il disturbo di personalità implica problematiche identitarie complesse che l’EMDR da solo non può risolvere, ma può essere uno strumento aggiuntivo utile nella fase di elaborazione del trauma in questi pazienti.
Disturbi dissociativi: In pazienti con disturbo dissociativo complesso (come il disturbo dissociativo dell’identità, DID), l’uso dell’EMDR è avanzato ma deve essere cauto e altamente specializzato, a causa del rischio di decompensazione dissociativa durante la rievocazione del trauma. Alcuni esperti utilizzano l’EMDR “a distanza” (tecniche titrate) per elaborare gradualmente i traumi senza sopraffare il paziente dissociativo. Ci sono resoconti positivi in letteratura, ma mancano studi controllati dati i numeri esigui di tali pazienti.
Psicosi e trauma correlato: Accumulano evidenze che una percentuale di pazienti con schizofrenia o disturbi psicotici abbia traumi pregressi (abusi, traumi dell’infanzia) che peggiorano l’outcome. Studi iniziali (es. van den Berg et al., 2015) hanno usato l’EMDR in pazienti con psicosi stabile e PTSD: i risultati mostrano che è fattibile e riduce i sintomi post-traumatici senza esacerbare la sintomatologia psicotica, anzi a volte con leggeri benefici sull’umore e sulle allucinazioni. Un RCT su pazienti con psicosi e PTSD ha confrontato EMDR, esposizione e waiting list, trovando che sia EMDR che esposizione migliorarono il PTSD in egual modo rispetto alla lista (ptsd.va.gov). Questo indica che anche nei pazienti gravi l’EMDR può essere utilizzato in sicurezza, sebbene non sembri avere vantaggi particolari sulle alternative.
Altri contesti vari: La revisione del 2021 menziona applicazioni positive perfino in ambiti come disfunzioni sessuali psicogene (trattando insuccessi o traumi sessuali pregressi), ansia da prestazione (sportivi o artisti che superano blocchi legati a esperienze di fallimento grazie all’EMDR), disturbi del sonno (incubi post-traumatici ridotti con EMDR), e neurodegenerativi (alcuni casi di pazienti con demenza che hanno ridotto agitazione trattando ricordi traumatici remoti). Si tratta per ora di casi isolati o serie molto piccole, che però suggeriscono come l’EMDR – inteso come metodologia di desensibilizzazione di ricordi stressanti – abbia una versatilità notevole. In situazioni mediche, è stato usato quando lo stress psicologico ostacola cure mediche (per es., un paziente oncologico troppo ansioso per sottoporsi a chemioterapia può trarre beneficio da EMDR per gestire la paura, facilitando così il proseguimento del trattamento medico) (frontiersin.org).
Sintesi sulle altre applicazioni: Nel complesso, l’EMDR al di fuori del PTSD offre una prospettiva terapeutica aggiuntiva in molti disturbi, soprattutto quando essi hanno radici in esperienze di vita stressanti o traumatiche. La Figura 1 illustra sinteticamente l’efficacia attualmente documentata dell’EMDR nei vari disturbi, basandosi su meta-analisi e studi chiave.
Controversie sul meccanismo d’azione dell’EMDR
L’EMDR, pur essendo ormai riconosciuto efficace, resta una terapia “atipica” per via dell’elemento dei movimenti oculari/bilaterali. Ciò ha generato negli anni numerose controversie scientifiche sul suo meccanismo d’azione. Ricapitoliamo le principali teorie e dibattiti:
Movimenti oculari: gimmick o componente fondamentale? La domanda più annosa è se i movimenti oculari (o alternativi) siano realmente necessari per ottenere il beneficio terapeutico. Come già discusso, alcuni studi clinici non hanno riscontrato differenze tra fare EMDR con o senza movimenti oculari(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov), suggerendo che la terapia funzionerebbe per l’esposizione e la rielaborazione cognitiva, indipendentemente dalla stimolazione bilaterale. In tal caso, i movimenti oculari sarebbero un “gimmick” – un elemento distintivo ma non attivo, il cui effetto sarebbe perlopiù un effetto placebo o di distraibilità generica. Effettivamente, l’idea di dover muovere gli occhi per superare un trauma fu accolta con scetticismo inizialmente anche perché suonava inusuale e priva di una spiegazione immediata nei canoni psicologici tradizionali. I critici più severi dell’EMDR (soprattutto fine anni ‘90) insinuavano che l’intera terapia fosse un placebo sofisticato: il setting, la focalizzazione sul trauma e i movimenti oculari creerebbero un’esperienza intensa che convince il paziente di star elaborando qualcosa, portando miglioramento attraverso aspettative positive e suggestione. Tuttavia, l’ipotesi del “solo placebo” oggi non è sostenibile, perché molti studi controllati hanno trovato l’EMDR superiore a condizioni di placebo o trattamento non specifico(pubmed.ncbi.nlm.nih.gov). Ad esempio, l’EMDR in studi randomizzati batte chiaramente il semplice supporto psicologico non specifico o la lista d’attesa, quindi l’effetto non è spiegabile con la mera aspettativa. Inoltre, la terapia dell’esposizione tradizionale (senza movimenti oculari) ottiene miglioramenti simili, e nessuno la definisce un placebo – segno che c’è un nucleo di efficacia reale condiviso.
La posizione attuale di molti esperti è che i movimenti oculari non sono un placebo puro, ma abbiano effettivamente un ruolo facilitante la rielaborazione, anche se non del tutto indispensabile. In altre parole, l’EMDR probabilmente funziona anche senza movimenti oculari, grazie all’esposizione e agli altri ingredienti, ma i movimenti (o la stimolazione bilaterale) possono accelerare o potenziare il processo. Questo è coerente con la meta-analisi di Lee & Cuijpers (2013) che ha trovato un vantaggio aggiuntivo moderato con i movimenti oculari (pmc.ncbi.nlm.nih.gov). Inoltre, i riscontri sperimentali di laboratorio rafforzano l’idea che i movimenti oculari producano effetti psicologici specifici: come visto, numerosi studi (Andrade et al. 1997; Kavanagh et al. 2001; Gunter & Bodner 2008; van den Hout et al. 2011, etc.) mostrano che fare movimenti oculari mentre si pensa a un ricordo disturbante ne diminuisce la vividezza e l’emozionalità significativamente più che pensarlo senza movimenti (emdria.orgemdria.org). Ciò è difficilmente attribuibile a placebo, perché avviene anche in compiti sperimentali con soggetti ignari dello scopo terapeutico. Tali evidenze supportano modelli cognitivi (come la teoria della memoria di lavoro) secondo cui i movimenti oculari interferiscono con la rievocazione mnestica riducendone l’impatto emotivo. È da sottolineare che non solo i movimenti oculari producono questo effetto: altri stimoli bilaterali o compiti duali (suoni alternati, tamburellare le dita, contare all’indietro mentre si pensa al trauma) sembrano avere effetto simile. Questo ha portato alcuni a ipotizzare che qualunque forma di doppio compito attentivo funzionerebbe, e che i movimenti oculari siano stati scelti un po’ per caso da Shapiro. Ad esempio, nei Paesi Bassi è stato sviluppato un protocollo chiamato EMDR 2.0 che usa compiti cognitivi visuo-spaziali più complessi al posto del semplice muovere gli occhi, nel tentativo di aumentare il carico di memoria di lavoro e quindi potenziare l’effetto (i risultati iniziali però non mostrano grandi differenze rispetto ai movimenti oculari standard)(onlinelibrary.wiley.com). In definitiva, la controversia sui movimenti oculari è passata da “servono o no?” a “come servono e perché servono”. La maggior parte dei terapeuti EMDR li utilizza, forti dell’esperienza clinica e delle evidenze sperimentali che suggeriscono un valore aggiunto; qualche terapeuta può ometterli in casi particolari (se il paziente non li tollera) confidando che l’esposizione guidata produca comunque miglioramento, magari con qualche seduta in più. Dal punto di vista scientifico, resta ancora da chiarire se specificamente il movimento oculare abbia proprietà uniche (alcuni studi indicano che il movimento oculare orizzontale attiverebbe entrambi gli emisferi cerebrali – la cosiddetta teoria dell’aumento di comunicazione inter-emisferica – ma i dati non sono conclusivi -emdria.org). Ad oggi, la spiegazione più accreditata del perché i movimenti oculari aiutano è la già citata teoria della memoria di lavoro: il carico cognitivo riduce l’intensità del ricordo e facilita l’immagazzinamento di una versione rielaborata del ricordo stesso (meno vivida, meno disturbante). Questo è compatibile col modello AIP di Shapiro (il ricordo “riconsolidato” in modo adattivo), pur essendo una spiegazione più meccanicistica a livello di funzioni cognitive.
EMDR e neurobiologia (sono coinvolti processi fisiologici particolari?): Alcune ricerche neuroscientifiche hanno tentato di individuare correlati neurofisiologici del processo EMDR. Studi con EEG e neuroimaging mostrano che durante l’EMDR si attivano network cerebrali legati alla memoria episodica e all’elaborazione emozionale (ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale) in modo simile a quanto avviene nelle terapie espositive, ma con qualche peculiarità. Ad esempio, un piccolo studio fMRI (Pagani et al., 2012) trovò che dopo un trattamento EMDR i pazienti PTSD mostravano una normalizzazione del pattern di attivazione cerebrale in risposta a ricordi traumatici (ridotta iperattività dell’amigdala e aumentata attività nelle aree frontali e dell’ippocampo), indicando un riequilibrio neurobiologico coerente con la riduzione dei sintomi. Un’altra ricerca (Lamprecht et al., 2004) evidenziò cambiamenti nella lateralizzazione emisferica durante la stimolazione bilaterale, ma i risultati sono stati difficili da replicare. In generale, il meccanismo neurobiologico esatto rimane incerto, ma l’ipotesi è che l’EMDR faciliti un processo simile a quello che avviene nel cervello durante il sonno REM (dove memorie emotive vengono elaborate, con movimenti oculari e ridotta amigdala). Questo spunto ha generato la suggestione che l’EMDR sia una sorta di “simulazione da svegli” del sonno REM per il cervello traumatizzato, ma le prove a riguardo non sono ancora forti.
Attribuzione del miglioramento: esposizione, ristrutturazione o altro? Un’altra controversia riguarda quale componente terapeutica, a parte i movimenti oculari, sia davvero responsabile del cambiamento. Il protocollo EMDR include elementi di diverse tecniche: c’è l’esposizione (il paziente si focalizza sul ricordo disturbante, anche se brevemente a intervalli), c’è un elemento di ristrutturazione cognitiva (si installa una credenza positiva alternativa al pensiero negativo legato al trauma), c’è un forte accento sulla relazione terapeutica sicura e sul rilassamento (fase di preparazione). Perciò alcuni studiosi hanno suggerito che l’EMDR non sia altro che una terapia multimodale integrativa e che non ci sia nulla di magico: funziona perché combina in modo coerente fattori terapeutici noti (esposizione + mindfulness + ristrutturazione + relazione). Shapiro stessa nel tempo ha riconosciuto paralleli con altri metodi, ma sostiene che l’EMDR è più della somma delle parti grazie alla sequenza strutturata unica. La ricerca sta cercando di scomporre l’EMDR: ad esempio, uno studio di Maxfield et al. ha provato a rimuovere la parte di “installazione della cognizione positiva” per vedere se serviva – trovando che i risultati clinici cambiavano poco, quindi quella fase potrebbe non essere essenziale di per sé. Altri stanno esplorando se l’ordine delle fasi possa essere flessibile. Questo rientra nelle normali indagini per ottimizzare una terapia. Ad oggi, il fattore terapeutico considerato sicuramente necessario è che il paziente attivi il ricordo traumatico (o l’emozione disturbante) e la sperimenti, in dosi controllate, durante la seduta: senza questa attivazione non c’è rielaborazione (infatti l’EMDR non consiste in semplice rilassamento o solo pensiero positivo – deve avvenire una dessensibilizzazione attraverso il ricordo). La presenza del terapeuta che aiuta a rimanere nel qui-ed-ora e a riorientare (processo chiamato “dual attention”) è anch’essa cruciale. Dunque l’EMDR condivide il fattore di esposizione con altre terapie per il trauma, e su questo c’è accordo. La divergenza rimane sull’apporto unico dei “fattori specifici” dell’EMDR, ovvero la stimolazione bilaterale e il protocollo strutturato a fasi. La maggioranza degli studi indica che questi fattori specifici migliorano il trattamento, ma non sono miracolistici da soli.
Placebo, suggestione e aspettative: Non si può negare che l’EMDR abbia degli aspetti che possono alimentare le aspettative positive del paziente: è una terapia relativamente breve, con una procedura ben definita e “diversa dal solito”, presentata spesso come un metodo innovativo che può portare sollievo rapido. Queste caratteristiche possono generare un potente effetto di aspettativa (placebo) nei pazienti che ripongono fiducia nella tecnica. Alcuni detrattori storici di EMDR sostenevano che gran parte del beneficio fosse dovuto a questo – in pratica, il paziente migliorava perché credeva di aver ricevuto una terapia speciale. Come abbiamo discusso, studi controllati con placebo (ad esempio dove il gruppo di controllo riceveva una “terapia dell’attenzione” senza movimenti oculari e senza esposizione prolungata) mostrano che l’EMDR produce miglioramenti superiori, il che confuta l’idea che sia solo suggestione. Tuttavia, l’effetto placebo/aspettativa probabilmente contribuisce in parte (come in qualsiasi intervento terapeutico). Un fatto interessante: all’inizio l’EMDR venne criticato anche perché si diffuse tramite organizzazioni dedicate (EMDR Institute, EMDR Europe) che ne promuovevano la formazione quasi in maniera “fideistica”, generando resistenze accademiche. Col tempo, l’EMDR è entrato nei programmi di formazione ufficiale e il tono sensazionalistico si è smorzato; ciò aiuta a ridurre bias ed effetti non specifici. Ad oggi, possiamo dire che l’EMDR ha un effetto placebo probabilmente analogo ad altre psicoterapie (fattori comuni come la speranza indotta, l’effetto terapeuta, etc.), ma non maggiore.
In conclusione, le controversie sul meccanismo d’azione dell’EMDR persistono soprattutto riguardo al ruolo dei movimenti oculari e ai processi psicofisiologici sottostanti. La comunità scientifica, da un lato, ha superato l’epoca in cui si discuteva se l’EMDR “funziona davvero o no” – questo ormai è appurato dalle evidenze; dall’altro, è sano che continui il dibattito su come funzioni. Questo stimola ricerche innovative che potrebbero non solo chiarire l’EMDR, ma anche far progredire la comprensione dei meccanismi della memoria traumatica e della guarigione psicologica. È possibile che in futuro si scopra che l’EMDR condivide meccanismi con altre terapie (ad esempio l’update della memoria attraverso la riconsolidazione) e che i movimenti oculari siano uno dei tanti modi di facilitare questi meccanismi. Per ora, le teorie più accreditate convergono sul fatto che la ri-attivazione controllata del ricordo traumatico, in un contesto duale (qui-ed-ora sicuro mentre si rivive il là-e-allora del trauma), unita a una stimolazione esterna che coinvolge l’attenzione e la neurofisiologia, produca un’elaborazione accelerata. Che si chiami riflesso di orientamento, elaborazione memoria di lavoro, o simulazione del sonno REM, si tratta di modelli esplicativi che cercano di descrivere la stessa realtà clinica: il paziente riesce a ricordare e “riconnettere” l’esperienza traumatica senza esserne più sopraffatto emotivamente, integrandola in una narrazione non patologica di sé.
Conclusioni
Dall’analisi condotta emerge che l’EMDR possiede una solida base scientifica per quanto riguarda la sua efficacia clinica, in particolare nel trattamento del PTSD. Numerosi studi sperimentali e meta-analisi attestano risultati positivi, equivalenti a quelli dei trattamenti più accreditati, e le principali linee guida internazionali ne supportano l’utilizzo nel trauma psicologico. Accanto a questi punti di forza, esistono dei limiti metodologici da considerare: molti studi hanno piccole dimensioni campionarie o rischi di bias, e permane dibattito sul contributo specifico dei movimenti oculari e sulla piena spiegazione teorica del metodo. Le critiche iniziali (che vedevano l’EMDR come non più efficace di altre terapie o addirittura come pseudoscienza) si sono in gran parte ridimensionate di fronte all’evidenza accumulata – oggi l’EMDR è annoverato tra i trattamenti evidence-based. Ciò non toglie che la ricerca debba continuare ad approfondire quando, come e perché funziona: ad esempio, servono studi di qualità ancor maggiore, con follow-up più lunghi e su popolazioni diverse, per consolidare i risultati e guidare le applicazioni oltre il PTSD.
Sul piano dell’efficacia clinica allargata, l’EMDR ha mostrato risultati incoraggianti anche in disturbi d’ansia, depressione e altre condizioni, specie quando queste sono legate a esperienze di vita traumatiche o stressanti. In particolare, funziona ottimamente nei disturbi da trauma (PTSD) e può dare benefici in aree come fobie, attacchi di panico e depressione reattiva, mentre è meno chiaro il suo ruolo in disturbi privi di un nucleo traumatico identificabile (es. DOC puro, alcune forme di depressione endogena, ecc.). In tali contesti, l’EMDR va utilizzato con prudenza e integrato in un trattamento multimodale.
Le controversie sul meccanismo – lungi dall’essere un punto debole – rappresentano in realtà uno stimolo scientifico: hanno portato a scoprire fenomeni interessanti (come l’effetto dei compiti duali sui ricordi emotivi) e a migliorare la comprensione dei processi di guarigione dal trauma. Ad oggi, l’interpretazione più plausibile è che l’EMDR agisca attraverso una combinazione di fattori: l’esposizione/ritiro emozionale del ricordo traumatico, la ristrutturazione cognitiva facilitata e la stimolazione bilaterale che agevola la rielaborazione attenuando la tensione emotiva. Non c’è dicotomia esclusiva tra “è solo esposizione” o “sono solo gli occhi che curano”: entrambi gli aspetti, e altri fattori comuni, concorrono al risultato terapeutico.
In definitiva, l’EMDR appare come un trattamento scientificamente fondato ma non miracoloso, con punti di forza comprovati (efficacia, rapidità in alcuni casi, versatilità) e alcuni limiti e incognite che richiedono ulteriore chiarimento. Per i pazienti con PTSD e traumi, rappresenta un’opzione di prima scelta, spesso preferita da chi fatica con le terapie di esposizione tradizionali. Per altri disturbi, offre speranza soprattutto quando le terapie convenzionali non hanno affrontato il nodo traumatico sottostante. La comunità scientifica continua a monitorare e affinare l’uso dell’EMDR, integrandolo nel corpus delle psicoterapie basate sull’evidenza. Come per ogni intervento, il giudizio finale sulla sua efficacia “reale” dipende dall’esito di futuri studi rigorosi e dalla conferma dell’utilità clinica in contesti sempre più ampi. Allo stato attuale, l’EMDR si configura come una terapia valida e statisticamente efficace, il cui percorso di consolidamento scientifico è in evoluzione ma già sufficientemente robusto da giustificarne l’ampia applicazione clinica.