Speciale psichedelici, a cura di Studio Aegle
10 articoli a proposito di psichedelici, consigliati da Caterina Bartoli
PREMESSA: abbiamo chiesto a Caterina Bartoli (aka Studio Aegle -linktr.ee/studio_aegle) di consigliarci 10 articoli “imperdibili” -più o meno recenti- a proposito di psichedelici e loro utilizzo in ambito psicoterapeutico/psichiatrico. Cogliamo l’occasione per spingere una realtà italiana appena nata ma molto promettente -di cui Caterina fa parte- impegnata in ambito di psichedelia, la SIMEPSI, Società Italiana Medicina Psichedelica (qui una presentazione).
Buona lettura!
1. 24 anni fa (ketamina)
Nel 2000, basandosi su una lunga serie di ricerche precliniche in cui si evidenziava il possibile ruolo dei recettori NMDA nella patofisiologia della depressione maggiore, qualcuno si è chiesto se la ketamina, un potente antagonista NMDA, potesse avere proprietà antidepressive oltre che le già note proprietà di analgesico dissociativo sfruttate in anestesia. È stato quindi condotto un piccolo studio randomizzato in doppio cieco, in cui 7 pazienti con depressione maggiore hanno ricevuto ketamina endovena in infusione, oppure soluzione fisiologica. I pazienti che avevano ricevuto ketamina hanno mostrato una significativa diminuzione dei sintomi depressivi nelle 72 ore successive all’infusione: al contrario del placebo, la ketamina ha mostrato evidenti miglioramenti in tutte le scale di valutazione utilizzate. Questo ha aperto la strada ad una lunga serie di ricerche cliniche che hanno portato all’approvazione nel 2019 dell’utilizzo della esketamina (Spravato) nella depressione resistente al trattamento. Nonostante la ketamina sia considerata uno psichedelico non classico, si può dire che da questo momento in poi sono state gettate le basi per la moderna ricerca in medicina psichedelica.
Eccovi l’articolo:
2. 18 anni fa (psilocibina)
Il Dr. Roland Griffiths, recentemente scomparso, viene a ragione riconosciuto come uno dei padri fondatori del cosiddetto Rinascimento Psichedelico, la moderna riscoperta delle proprietà terapeutiche degli psichedelici, dopo che la messa al bando di queste sostanze da parte del presidente Nixon nel 1970 pose fine ad una prolifica serie di ricerche cliniche e al più noto movimento hippie. Griffiths, fondatore del Center for Psychedelic & Consciousness Research alla Johns Hopkins University riuscì ad ottenere nel lontano 2006 il permesso di somministrare psilocibina a 30 soggetti randomizzati che non avevano mai provato psichedelici, giusto per vedere che cosa succedeva. Le profonde esperienze mistiche vissute hanno continuato ad avere ripercussioni positive anche a 2 mesi di distanza dal trip: tutti i partecipanti riferirono duraturi miglioramenti nel loro comportamento e nella loro visione del mondo, cambiamenti notati anche dai loro amici e familiari. Possibile che le esperienze mistiche possano essere indotte così facilmente e anche studiate in maniera rigorosa e statistica? Possibile che gli psichedelici non siano solo droghe brutte e cattive come ci dicono dagli anni Settanta e che, se utilizzate in un ambiente clinico controllato, possano avere anche un effetto positivo? Possibile.
Eccovi l’articolo:
3. Cervello entropico
Un vero e proprio scienziato VIP del Rinascimento Psichedelico è il Dr. Robin Carhart-Harris, allievo dell’ancora più famoso Dr. David Nutt dell’Imperial College di Londra. Insieme, sono tra i più prolifici autori di ricerca in medicina psichedelica, soprattutto in tutta quella parte complessa, e a tratti oscura, delle neuroscienze. A loro dobbiamo la teoria del cervello entropico: una maggiore caoticità nelle connessioni cerebrali corrisponde ad una aumentata ricchezza di informazioni processate. Nella nostra quotidianità operiamo con il risparmio energetico, oscilliamo in un range abbastanza ristretto di entropia cerebrale, ma con i giusti stati di alterazione della coscienza si possono mescolare le carte in tavola e gli psichedelici sono ben noti per alterare lo stato di coscienza. È stata quindi fatta una cosa semplice ma rivoluzionaria: è stata data psilocibina a soggetti sani che sono stati poi infilati in una risonanza magnetica funzionale, per vedere che cosa succedeva al cervello durante il trip psichedelico. Mai prima di allora era stato visto un cervello più caotico. E mai prima di allora era stato visto su schermo il silenziamento del Default Mode Network (DMN), il direttore d’orchestra delle nostre funzioni cerebrali superiori, tutte quelle operazioni metacognitive dalla riflessione sul sé ai sogni ad occhi aperti (Freud avrebbe forse parlato di ego). Curioso che nella depressione, nell’OCD e nelle dipendenze il DMN sia particolarmente attivo. Curioso anche che gli psichedelici siano noti per dissolvere l’ego.
Eccovi l’articolo:
4. Connettomica psichedelica
Se uno non è neuroscienziato o se non ha la più pallida idea di che cosa voglia dire homological scaffolds, è possibile capire in maniera semplice cosa succede al cervello sotto l’effetto della psilocibina? Questa immagine, la più famosa e caratteristica nella ricerca psichedelica moderna, aiuta anche i più naive: a sinistra le connessioni, alquanto noiose, di un cervello normale, a destra le connessioni di un cervello in pieno trip psichedelico.
Aree cerebrali che normalmente non hanno alcun tipo di comunicazione tra di loro, iniziano interessanti conversazioni: da qui nascono tutte quelle caratteristiche di un trip psichedelico, dalle sinestesie alla dissoluzione dell’ego, dalle alterazioni visive alle esperienze mistiche.
Eccovi l’articolo (per i più smanettoni):
5. Il triangolo di Zimberg
Non si può parlare di psichedelici senza affrontare la peculiare questione del set e del setting, quell’insieme di parametri psicologici, ambientali e sociali che modulano l’esperienza psichedelica. Gli psiconauti più scafati sanno che in realtà i bad trip non esistono, ma se si può evitare di farcela prendere male quando si usano psichedelici, tanto meglio. Si attribuisce l’origine dei termini set e setting al controverso Timothy Leary, psicologo ad Harvard negli anni Sessanta, quindi non proprio l’ultimo idiota, che però si è visto bruciare la reputazione dal suo motto più famoso “Turn on, tune in, drop out” predicato dal palco a migliaia di hippie in sua adorazione. I concetti e l’importanza di set e setting erano già ben presenti alla comunità scientifica da tempo. In questa revisione ne viene ripercorsa la storia.
Eccovi l’articolo:
6. Come sulla neve
Robin Carhart-Harris colpisce ancora e nel 2019, poiché la teoria del cervello entropico era troppo semplice, propone il modello REBUS (Relaxed Beliefs Under Psychedelics): attraverso un’aumentata entropia cerebrale, gli psichedelici portano ad un rilassamento delle nostre credenze, liberando così un flow di informazioni altrimenti inaccessibili. In pratica il controllo gerarchico top-down del nostro cervello va a farsi benedire e viene lasciato spazio ad un fluire libero ed anarchico del pensiero, ma anche dell’informazione bottom-up (per la gioia della psicoterapia sensomotoria e compagnia). Oltre ad ammorbidire la mente in generale, vengono anche allentate tutte quelle procedure rigide caratteristiche di alcune patologie, tra cui la depressione. Nel suo libro bestseller “Come cambiare la tua mente” Michael Pollan propone questa spiegazione:
“Pensi al cervello come a una collina innevata e ai pensieri come a slitte che scivolano giù dal pendio. Via via che, una dopo l'altra, le slitte scendono sulla neve, vi lasceranno un piccolo numero di solchi più profondi. E ogni volta che scenderà un'altra slitta, sarà attirata nei solchi preesistenti, quasi come da una calamita. Quelle tracce più profonde rappresentano, nel cervello, le connessioni neurali più utilizzate, molte delle quali attraversano la DMN. Col tempo, è sempre più difficile scendere dalla collina in una direzione diversa o percorrendo una qualsiasi altra traiettoria.
Ora pensi agli psichedelici come agenti che, temporaneamente, battono la neve. I solchi più profondi scompaiono, e all'improvviso le slitte possono andare anche in altre direzioni, esplorando nuovi paesaggi e creando letteralmente nuove piste. Quando la neve è più fresca, la mente è più impressionabile, e basta una minima esortazione, qualsiasi cosa, una canzone, un'intenzione o il suggerimento di un terapeuta, per esercitare un'influenza potente sulla sua direzione futura.”
Eccovi l’articolo:
REBUS and the Anarchic Brain: Toward a Unified Model of the Brain Action of Psychedelics
7. Psicoplastogeni
Ancora non ci è dato sapere con certezza come gli psichedelici esercitino il loro effetto terapeutico. Oggi sappiamo che potrebbe dipendere anche dalla loro capacità di indurre neuroplasticità. Infatti, già qualche anno fa, è stato visto che se si somministra a topi depressi uno psichedelico e allo stesso tempo un bloccante del recettore 5-HT2A (il principale recettore implicato negli effetti psichedelici), i topi guariscono dalla depressione senza riportare segni di allucinazioni. Sempre sui topi è stato scoperto che gli psichedelici si legano al recettore TrkB, e addirittura il legame LSD-TrkB è 1000 volte più forte del legame tra un generico farmaco antidepressivo e TrkB. Questo recettore è il principale target del brain-derived neurotophic factor (BDNF), proteina che sostiene la sopravvivenza neuronale e promuove la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni e sinapsi. Da qui è nata la recentissima corsa farmacologica allo sviluppo di psicoplastogeni, molecole che mantengono gli effetti terapeutici degli psichedelici senza però l’accompagnamento di allucinazioni e dissoluzione dell’ego.
Eccovi l’articolo:
Psychedelics promote plasticity by directly binding to BDNF receptor TrkB
8. (di nuovo sull’) MDMA per il PTSD
Dagli anni Ottanta Rick Doblin è il volto di MAPS, la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies, un’associazione no profit che si è impegnata nell’affermare ll’MDMA (ecstasy) come valido trattamento del PTSD. Dopo lunghi anni, e tanti milioni di dollari raccolti per beneficenza, MAPS è riuscita nel 2023 ad ultimare il suo studio di fase 3 sulla MDMA-Assisted Therapy. Spoiler: l’FDA ha bocciato lo studio. Ma i risultati sono stati comunque degni di nota, nonostante le critiche e le polemiche che hanno contornato il processo di valutazione della FDA. L’utilizzo della psicoterapia proposta da MAPS per sfruttare le caratteristiche dell’MDMA nel risolvere i traumi (maggiore apertura e condivisione, abbassamento dei muri personali, riduzione della paura), ha portato in 18 settimane a remissione completa in più del 70% dei pazienti studiati. Lo studio non sarà stato all’altezza degli standard della comunità scientifica, ma ciò non toglie che i dati ottenuti riflettono l’importanza della potenzialità di questa terapia.
Eccovi l’articolo:
MDMA-assisted therapy for moderate to severe PTSD: a randomized, placebo-controlled phase 3 trial
9. Psicoterapia Assistita da Psichedelici (PAP)
Si parla sempre di psicoterapia assistita da psichedelici, ma quanto è davvero importante la psicoterapia, e quanto invece l’outcome terapeutico dipende esclusivamente dall’azione neurofisiologica dello psichedelico? Questo è un grande dilemma nel mondo della ricerca psichedelica, dilemma che ancora non ha trovato risposta. Da un lato è molto difficile quantificare e valutare in maniera numerica e statistica la psicoterapia (soprattutto, quale tipo di psicoterapia?), dall’altro sempre più studi mostrano come gli psichedelici agiscono in maniera indipendente nel modificare strutturalmente il cervello e i processi biologici. I trial clinici sono spaccati in due: chi offre psicoterapia a tutti i partecipanti, chi offre solo supporto psicologico per contenere eventuali attacchi di panico o improvvise tendenze a buttarsi dalla finestra. Si dice che un trip psichedelico equivalga a 10 anni di psicoanalisi, e le opportunità che queste sostanze possono regalare allo psicoterapeuta (adeguatamente preparato) nella gestione di alcuni pazienti sono innegabili.
Eccovi l’articolo:
Treatment with psychedelics is psychotherapy: beyond reductionism
10. Articolo Storico! 1956
Negli anni Cinquanta e Sessanta l’Italia è stato il Paese con il maggior numero di pubblicazioni scientifiche sugli psichedelici, soprattutto LSD. Incredibile, ma vero (ce lo conferma D’Arenzio in questa revisione storica).
Le vecchie riviste psichiatriche, con i loro termini desueti e con procedure al limite dell’etico, racchiudono una miniera di conoscenza perduta. Già nel lontano 1956 si considerava l’importanza di set e setting, si intuivano come fondamentali la supervisione medica e l’integrazione post esperienza, si pensava fosse saggio avere un barbiturico a portata di mano per risolvere i possibili bad trip, non si sapeva se e quanto la psicoterapia potesse influire nel trattamento. Già si vedevano i numerosi benefici clinici degli psichedelici, e si sapeva che non era solo “suggestione”. Grazie al minuzioso lavoro di Giorgio Samorini è possibile riportare alla luce articoli archeologici come questo.
Eccovi l’articolo:
L’impiego della dietilamide dell’acido lisergico nelle psiconevrosi
E anche questa volta siamo (ri)tornati alla fonte!
Ma non finisce qui! Ci risentiamo a breve per la prossima newsletter!
Grazie per la fiducia e per il tuo supporto!
Raffaele, Francesco, Andrea